domenica 11 dicembre 2016

Crowdfunding: 'Storia del vegetarismo in Italia'

Allora, c'è questo ragazzo, Eugenio Leucci, che sta cercando di portare a termine la sua ricerca. Non lo conosco ma mi sembra interessante.
Quindi fate girare, chissà che questo bel progetto non trovi realizzazione.
Eccolo, con parole sue:

«Ciao, ti scrivo per chiederti un sostegno per il mio progetto di crowdfunding Per una pace integrale: storia del vegetarismo in Italia (1900-1952).
Il mio intento è quello di ricostruire le origini del movimento vegetariano e animalista italiano, seguendo le tracce lasciate da personaggi noti e meno noti della vita del nostro Paese (da Nicolò Grillo a Gennaro Ciaburri, da Augusto Agabiti ad Aldo Capitini). Si tratta di una vicenda quasi del tutto ignorata dalla storiografia e che è andata intrecciandosi con vari momenti della storia culturale e politica italiana, dal naturismo di primo Novecento al futurismo, dal fascismo al movimento non violento di stampo gandhiano.
È una storia particolarmente affascinante che ha coinvolto uomini e donne senz'altro fuori dal comune.

Dopo aver cercato inutilmente assegni e borse di ricerca presso università e istituti pubblici e privati, ho deciso di fare da me e di chiedere aiuto a tutti i miei potenziali sostenitori. Credo infatti che il crowdfunding sia un'arma preziosa per portare avanti una nuova concezione della cultura: una cultura che coinvolga realmente l'intera società e che concepisca la conoscenza non come una cosa per pochi, ma come il motore di una presa di coscienza collettiva che abbracci e coinvolga ogni singolo cittadino.

Se condividi questa idea e sei interessato al progetto, segui questo link e contribuisci alla realizzazione della mia ricerca: Per una pace integrale: storia del vegetarismo in Italia (1900-1952) Anche il più piccolo contributo è fondamentale!
Ovviamente, rimango a disposizione per qualunque domanda, richiesta o curiosità...

Grazie!
Un caro saluto,
Eugenio Leucci

Vuoi leggere la descrizione del progetto? Clicca qui.
Se vuoi leggere una sua versione più dettagliata, segui questo link.
Alcuni risultati della mia ricerca sono già disponibili online! Leggili sul mio blog

giovedì 27 ottobre 2016

Pane piatto

Sto preparando una cena, chiedendomi se sia il caso di impegnare oltre mezza giornata per cucinare. E speriamo che tanto sforzo abbia come premio la soddisfazione degli ospiti. Il fatto è che mi devo confrontare con un cuoco che eccelle sia nei piatti di carne - la sua specialità (paté di fegato e di selvaggina, tortellini in brodo) - che in quelli vegetariani; in occasione del suo ultimo invito ci ha deliziati con una crema di ceci e cavolo nero saltato davvero eccezionale - ed è anche l'unica persona che io conosca che sappia fare una perfetta crema inglese.
Dunque per questa sera avevo programmato un menu e poi mi sono trovata a inventare un po' di ricette (che dopo l'assaggio spero finiranno nel prossimo libro).
Avevo infatti pensato ai flan di cavolfiore (che sta nel mio primo libro di ricette), un classicone, veloce da preparare e di sicuro successo. Ma niente cavolfiori bio locali: ha fatto troppo caldo, bisognerà aspettare.
Così ho trasformato un antipasto in un secondo e cambiato programma per non ripetere piatti ripetuti negli ultimi tempi, perché mi sono anche un po' stufata di fare le stesse cose.
Dunque questa sera in tavola ci saranno:

assaggi di hummus classico (ma con poco aglio) e falso hummus di piselli allo zenzero
paté di borlotti
insalata di pomodori allo yogurt (speriamo che il pomodoro abbia sapore, la stagione è bell'e che finita)
da accompagnare con pane piatto tipo lavaş (lavash)

gnocchi di carote e feta con salsa di yogurt e porro
borsch (in alternativa)

polpette di lenticchie con finitura al latte di cocco, zenzero e foglie di curry

tortino alla farina di mandorle e cioccolato fuso

Vi faccio vedere come ho fatto il pane (farina, sale, zucchero, lievito secco, olio, acqua tiepida). Si fa lievitare al caldo. Di solito lascio l'impasto parecchio appiccicoso, per ottenere pane o focaccia più morbidi, impasto che con l'aiuto di una spatola di silicone si maneggia abbastanza facilmente. Si lavora nuovamente e si cuoce in padella senza condimento (ho usato quella delle crêpe), pulendo ogni volta la pentola dalla farina dopo ogni cottura.

venerdì 7 ottobre 2016

Per le mie carissime amiche

... ho preparato una cena che aspirava ad essere all'altezza del bordeaux Vieille Eglise 2005 portato appositamente da Bordeaux. Bottigliozzo magnum per quattro persone, anzi forse per tre: due - per fortuna di noi bevitori di vino - hanno optato per il Martini cocktail, un'altra doveva poi guidare.
Allora ho mescolato le stagioni, un po' estate e un po' autunno.
Per cominciare alcuni assaggi:
nastri di zucchina con cavolo nero su zucca saltata
falso hummus di piselli (falso perché invece dell'aglio ci ho messo lo zenzero)
crema di zucca e yogurt all'aglio con peperoncino e sumac

sigara böregi
pomodori allo yogurt
pappadums di lenticchie

Patate vitelotte al burro fuso e tartufo nero di Langa (un successone)

Pasta e fagioli.

sabato 1 ottobre 2016

Passaggi di stagione

Un po' attardandomi con pomodori allo yogurt e peperoni ripieni (con salsa densa di arachidi e tamarindo), un po' accogliendo l'arrivo dei cavoli, mi barcameno fra le stagioni, alternando un timorasso a un barbera (già, l'ovvietà di bere qualcosa di fresco d'estate e optare per un corroborante rosso quando arriva il freddo - peraltro gli inverni recenti sono stati eccezionalmente miti dalle mie parti a causa del riscaldamento globale).
Dall'uva fragola (o uva americana) ho ricavato una purea che ben si presta a essere trasformata in dessert ma non ne escluderei l'uso come salsa su un flan di cavolfiore; con il cavolo nero ho preparato il primo gattò di patate di stagione; con le zucchine un primo piatto (ma anche piatto unico, perché davvero è piuttosto saziante) con tempeh e tahina.
E almeno una parte di essi dovrebbe confluire nel nuovo ricettario in preparazione da troppo tempo, che, mi auguro, prima o poi riuscirò a concludere!

domenica 18 settembre 2016

Quanto è difficile mangiare vegetariano in Francia!

Ah, la cucina francese! Ricercate prelibatezze – Escoffier, Brillat-Savarin, Bocuse, Ducasse… una lunga storia di meraviglie culinarie, ma i vegetariani non sono invitati al banchetto. Non un tempo, e nemmeno oggi. Nel 2014 Ducasse, sull’onda della moda, aveva finto di inaugurare un restaurant vegetariano (il Plaza Athénée a Parigi): il titolo prometteva, il menu contraddiceva: pesce, scampi, caviale…
A parte questi ristoranti haute-couture improponibili per normali tasche, trovare una cucina adatta a vegetariani è ancora difficilissimo in Francia. Perfino in una salade non manca il poulet, talora ci trovi pure del canard.
Dipartimento della Gironda, cinque giorni di vacanza: affittando un appartamento si può far la spesa da sé e mangiare ciò che si vuole. Però peccato non provare almeno un ristorante.
Se appena arrivati abbiamo trovato bellissimo locale storico dove ti danno da mangiare fino a mezzanotte (quasi dappertutto a Bordeaux) e con un cameriere gentile abbiamo contrattato una salade verte, con pomodori, formaggio chèvre e noci, ho festeggiato il compleanno in un ristorantino italiano niente di che, ordinando una parmigiana di melanzane, mozzarella in carrozza e bevendo Montepulciano d’Abruzzo – ecco, avrei preferito di no.
Meno male che i ristoranti indiani, pakistani, turchi, tailandesi, italiani non mancano.
Perché avevo individuato un ristorante francese vegetariano e vegano (!): un bellissimo sito internet, molto promettente, ma quando siamo andati a fare un sopralluogo – lungo un Quai abbastanza fuori mano – abbiamo trovato una saracinesca chiusa, vetri polverosi attraverso i quali si intravedeva un interno che pareva abbandonato da mesi o da anni (ecco perché non rispondevano al telefono). Il triste foglio accartocciato con gli orari indicava le aperture quasi solo nel week end: decisamente i vegetariani non abbondano da quelle parti.
Vero è che abbiamo scelto come meta delle nostre brevi vacanze il regno delle ostriche (Andernos-les-Bains, Arcachon) e delle cozze, e dappertutto prevale la cucina regionale di terra: non si vergognano affatto di proporre il foie gras che ormai suscita la disapprovazione di molti, e bovino, anatra, agnello sono ovunque nei menu.
Un atteggiamento verso gli animali che si estende, così a prima vista, anche a quelli domestici: pochi gatti in giro, parecchi cani con collare a strozzo strattonati dai proprietari, oppure portati in spiaggia sotto il sole per ore e ore. L’infelice vita animale nel Sud-Ouest.

Il Café des Arts

Al ristorante italiano

Fromagerie

Al ristorante turco-ottomano

sabato 17 settembre 2016

Sigara böregi

Ora studio cucina turca, è il turno dei börek arrotolati a sigaretta ripieni di feta - simili ai triangoli di pasta fillo ripieni della cucina greca. Avessi trovato nei ricettari una spiegazione decente su come arrotolarli! Fossi stata avvezza alla preparazione di croissant, non avrei avuto problemi. Dev'essere una questione di geometria, anche. Abbandonati quindi gli inutili ricettari, cerco in rete un tutorial - be', niente di più semplice! Una volta visto come si fa, posso procedere. E ho anche scoperto che esiste della pasta yufka già pronta (come la pasta fillo che utilizzo, del resto), confezionata pretagliata. Da queste parti, però, non credo di averla mai vista. Me la farò portare dalla Germania.
Il fatto è che con fritti proprio non ci so fare (di solito cuocio al forno) - e infatti ho intinto l'indice della mano sinistra nell'olio bollente. Ahi!

mercoledì 17 agosto 2016

Menu di Ferragosto

Ché poi dopo una breve passeggiata ci siamo avventati sul cibo. Così niente foto delle preparazioni ma solo di quanto avevo nel piatto. Comunque cucina veloce:
triangoli di pasta fillo con feta
falafel
tzatziki
hummus
patate al sesamo
zucchina rotonda dell'orto ripiena
cous cous di melanzane (con anche delle piccole melanzane rosse calabresi che non avevo mai provato) e zucchina trombetta
focaccia al sale grosso e rosmarino

baklava

mercoledì 27 luglio 2016

Ricette tradizionali: polpette di pane al sugo

Stavolta una ricetta. Che ha una sua storiella annessa, però. Noi, gente delle pianure lombarde o delle pendici prealpine, soprattutto nella bella stagione siamo soliti riversarci in massa sulle spiagge liguri, con malcelato fastidio dei liguri stessi, che provvedono a spennare il turista alla prima occasione. Questa è la fama, la maggior parte delle volte smentita nei fatti ma talvolta confermata con tale precisione che continua a sopravvivere tenacemente (potrei ricordare i 'bungalow' di onduline e cartone di Vernazza dove finii, ancora al liceo, millenni fa, per le vacanze, oppure i due piatti di spaghetti spezzettati, malconditi e totalmente scotti - tipo pappa del cane - per i quali una 'ristoratrice' di Camogli pretese all'epoca 60 mila lire. Indimenticabile).
Il caso ha fatto sì che in seguito le mie mete divenissero piuttosto quelle del Ponente - l'entroterra, non troppo distante dal mare. Ebbene, là ci sono almeno due località che giustamente promuovono come prodotto tipico il pane: Triora, il cosiddetto paese delle streghe, e Calizzano, alta val Bormida, dove si rifugiano i liguri in cerca di frescura d'estate e i turisti d'inverno anche per lo sci di fondo.
Lassù l'acqua è limpida e buona e anche il pane è ottimo.
Così abbiamo acquistato un bel filone di pane di Calizzano, rassicurati dal rubizzo e giallobaffuto negoziante che, grazie alla qualità, sarebbe durato qualche giorno. Vero, verissimo, dato che quel pane non era fresco di giornata (ecco perché ci aveva velatamente sconsigliato di congelarlo), ma almeno del giorno prima, forse anche di due giorni prima. Epperò è durato tutta la settimana (non sono una gran consumatrice di pane) e ce ne siamo perfino portati a casa un avanzo.
E veniamo alla cucina - zerospreco, naturalmente.
Polpette di pane al sugo. Meravigliose quelle della mia amica Rina, ma naturalmente non mi ricordavo più la ricetta, così ho fatto da me.
Ho messo in ammollo nell'acqua l'avanzo di pane di Calizzano (l'equivalente di una pagnottina, poco più di una michetta) finché non è diventato morbido, l'ho strizzato ben bene e amalgamato con un uovo, prezzemolo, coriandolo, uno spicchio d'aglio e una cipolla tritati, pangrattato, sale.
Ho fatto delle polpettine e le ho fritte leggermente solo sui due lati in poco olio. Dorato l'esterno, ho aggiunto polpa di pomodoro, un paio di spicchi d'aglio interi, acqua (quanto basta per sciacquare bene la lattina della polpa di pomodoro), sale, cipolla tritata grossolanamente, un pizzico di zucchero, olio d'oliva ligure, terminando la cottura, anche interna, delle polpettine, per circa venti minuti.
Questo è stato il primo esperimento.
Mia nonna, che era veneta, ammollava il pane nel latte e preparava le polpettine con uovo, aglio, cipolla, noce moscata, formaggio (parmigiano), sale, pepe e le passava nel pangrattato alla fine, per friggerle - e si mangiavano così, senza sugo né salsa di pomodoro. Cucina ancora più povera.
Le successive polpette - fatte con del pane comune, dei filoncini non particolarmente buoni - le ho preparate in questo modo, ma terminando la cottura in umido, un misto fra le due versioni.
Be', sono buonissime!

p.s. Il sugo deve essere più abbondante e meno asciutto che nella foto.

acquamineralecalizzano.it

pane di Triora (wikipedia)

livesicilia.it (ricetta: polpette di pane al sugo)

venerdì 22 luglio 2016

#SalvaIlPolpo

Con perfetta ingenuità più di una volta ho provato a dire che mangiare il polpo è un po' più crudele che mangiare altri animali marini. Da tempo si sa che nei tentacoli risiedono neuroni, che i polpi sono animali intelligenti e provano sofferenza. Ma figuriamoci, di solito mi scoppiano a ridere in faccia o mi sorridono come fossi io quella senza neuroni. Poi c'era stata la notorietà di quel polpo Paul che ha involontariamente contribuito ad amplificare lo scherno.
Polpo e patate - è la morte sua. Infatti. E non è una bella morte.
Purtroppo non vi è alcun limite alla pesca di questi animali.

Così, perseverando nella mia ingenuità, vi segnalo l'inchiesta di Essere animali.

venerdì 8 luglio 2016

Cosa mangiano le galline?

Vi mostro subito la foto: una delle due uova viene da un privato che ha poche galline, allevate prevalentemente con gli avanzi di casa, l'altra viene da un supermercato di prodotti biologici. Una non ha marchio sul guscio, l'altra un codice che comincia con 0. Notare la dimensione dei tuorli. Quanto al sapore, non c'è paragone, fidatevi.



Il primo mi ha ricordato il grosso uovo d'oca che mi aveva regalato la vicina, che ha una coppia di magnifiche oche che le fanno compagnia e pure un'ottima guardia. L'altro mi ha fatto pensare al burro - biologico, prodotto d'eccellenza bla bla che si compra. Ugualmente desaturato. Il colore giallino pallido pallido cui siamo abituati non ha molto a che vedere con i veri prodotti che forse mangiavano i nonni. E le galline dei nonni non mangiavano certo orrendi mangimi prima di finire in pentola.
Le campagne di salute preventiva basate sull'alimentazione hanno un bell'arrancare se poi comunque quello che ci mangiamo è il risultato di una lavorazione che depaupera e rende artificiale il cibo. Del latte ho già detto più volte (sappiate che con il latte crudo del distributore - che costa meno e si riutilizza il vetro - si riesce a fare il paneer perché - miracolo - caglia, cioè reagisce; si vede che contiene ancora qualche traccia di proteine e grassi), ora è il turno di capire come effettivamente siano le uova impiegate normalmente in cucina. Acquistatele da chi produce poco e prevalentemente per sé: lo sosterrete. Il piccolissimo produttore, escluso dalla grande distribuzione, ha finito col tirare il collo alle sue poche galline: uova in quantità insufficiente per essere accettate dal mercato ma decisamente troppe per il consumo di una sola famiglia. Ma quanto ad assurdità, so di una persona cui il contadino regala le uova fresche che lei BUTTA per comprarle al supermercato.
(Pas)siamo alla frutta.

Se non conoscete un contadino, ecco come leggere il codice sul guscio delle uova. Raccomandazione uno: mangiatene poche, con parsimonia; raccomandazione due: acquistate SOLO quelle con marchio che comincia con 0 (zero).

lunedì 30 maggio 2016

Frutta fresca bio

Ci sono ricascata - per la fretta: non potevo aspettare il giorno di apertura del negozio di frutta e verdura di fiducia e quindi ho comprato delle pesche al supermercato. Bio, naturalmente. Peccato che, come era prevedibile, siano passate da acerbe a marce. Questo è. Lo so: purtroppo la grande distribuzione tratta così la frutta (refrigerandola fino al congelamento) e so bene che non va mai comprata. Magari giusto le banane, ma niente altro.
E così, in un lunedì pieno di cose da fare, ho fatto anche una torta, con le parti di pesca che ho potuto salvare. Ed è buona!



domenica 24 aprile 2016

Vive la France

E una gitarella oltre confine è l'occasione per qualche spesuccia - pure al supermercato, mica dobbiamo raccogliere preziosità che poi avremmo un timore reverenziale a stappare.



venerdì 1 aprile 2016

Olio di palma

Non so se lo avete notato, da qualche tempo sono apparse pubblicità a favore dell'olio di palma e studi scientifici e interventi che ne dichiarano la bontà per la nutrizione e la salute: segno certo che la crisi ha iniziato a interessare questo prodotto e l'enorme, pervasivo mercato che ci sta dietro. L'obbligo di etichettatura che norma ingredienti e valori energetici e nutritivi dei prodotti industriali evidentemente ha spinto sempre più consumatori a leggere le etichette e a scegliere di conseguenza. E il cosiddetto olio di palma sostenibile...
Non perdetevi la puntata di Patti chiari, il programma della RSI dedicato ai consumatori. Ovviamente la mia simpatia va a Roger Dairoli, cardiologo, e Adrien Gontier, chimico, divulgatore e acerrimo nemico dell'olio di palma, come si vede dal suo blog vivresanshuiledepalme.

Fate una ricerca dei prodotti senza olio di palma - o viceversa, quelli in cui è contenuto: non si tratta solo di generi alimentari, si trova anche in molti detergenti e nel carburante.

Olio di palma: fastidio... grasso?

domenica 27 marzo 2016

Menu pasquale

Ecco il menu - semplice semplice - per l'aperitivo con amici di stasera.

Hummus
Pizza di quinoa alle verdure e pecorino
Polpettine vegetariane
Patate al sesamo e altre spezie
Pane e panelle
Triangoli di pasta fillo con feta

Gnocchi patata e zucca burro e salvia

Tarte conversation
Uovo di cioccolato fondente

Il pane per le panelle è fatto in casa con la ricetta del pane pita; la base della pizza è fatta con la quinoa (e qualche fagiolo nero), cotta in pentola e poi passata in forno.

mercoledì 23 marzo 2016

Dopotutto

«Dopotutto c’è del buono in quel fine sapore vegetariano di cose venute dalla terra, l’aglio dopo puzza, beninteso, i suonatori di organetto italiani sempre con le loro cipolle, funghi, tartufi. C’è anche la sofferenza degli animali. Spennare e svuotare un volatile. Al mercato del bestiame le povere bestie aspettano di farsi spaccare il cranio con un’ascia. Muuuu. Poveri vitellini tremanti. Meeee. Lattanti che barcollano. Bue e cavoli cotti. Nei secchi dei macellai le rigaglie respirano ancora. Mi dia quel pezzo appeso al gancio lassù. Plup. Testina e ossa insaguinate. Pecore scuoiate con occhi vitrei appese per i piedi, musi di montone nel cartoccio sanguinolento, narici che sgrondano gelatina nella segatura, scarti e ritagli nella spazzatura. Non rovinarmi quei pezzi, ragazzo.»

J. Joyce, Ulisse, trad. di Gianni Celati.

domenica 13 marzo 2016

Finalmente una legge sugli sprechi alimentari

Basta sprechi alimentari, la legge approda alla Camera ("la Repubblica", 13 marzo 2016).
Bene, benissimo. Non è tanto difficile, no?
E cominciamo noi, dal nostro piatto: lasciare avanzi non è chic - quella inveterata abitudine di mostrare sazietà in fin dei conti era solo una mancanza di rispetto per la servitù di un tempo (di ogni tempo).
Mettiamo nel piatto solo quanto siamo in grado di mangiare e, se mangiamo fuori casa, portiamoci via gli avanzi (in un contenitore riciclabile e non in alluminio o plastica da gettare) per il giorno dopo, o per il cane o per qualche colonia di gatti (i gatti domestici sono più difficili, intossicati come sono dal cibo industriale).
A me pare inverosimile, ma dopo la chiusura nei supermercati passano con i carrelli a ritirare il cibo considerato non più vendibile e... lo buttano!!
Se è vero, trovo che sia mostruoso e immorale, non credete?
Supermercati, feste popolari, mense di ogni tipo, quanti avanzi producono? Il nostro sistema (noi, si parla di tutti noi) produce spazzatura commestibile e la distrugge.
Per fortuna qualche persona di buon senso distribuisce gli avanzi delle feste ai cani del paese (ne conosco qualcuna - si tratta di microinterventi locali, e sporadici): perché non portarli direttamente ai canili? Ché poi c'è un sacco di roba buona, che potrei mangiare anche io se non fossi vegetariana (di solito avanza soprattutto carne: la gente è abituata a sprecare, senza nemmeno domandarsi da dove venga il cibo).

L'articolo (del 2015) di Altroconsumo sugli sprechi della grande distribuzione.

Per esempio: India, un frigo davanti al ristorante: così si ricicla e si condivide il cibo.

Ci sono petizioni ancora aperte:
Stop allo spreco alimentare in Europa!
C'è chi spreca e chi muore: approviamo una legge contro gli sprechi alimentari
Doggy Bag: contro lo spreco alimentare

lunedì 7 marzo 2016

Live Wine - Salone internazionale del vino artigianale

Da perfetta inesperta (tipo Albanese che fa il sommelier) mi sono calata per qualche ora nella per me affascinante pratica dell'assaggio di vini: la manifestazione è evidentemente rivolta ai professionisti del settore ma tante altre persone curiose e più o meno preparate nella degustazione affollano i banchetti degli espositori, a volte faticando un po' per ottenere quel goccio che ti viene offerto.
All'ingresso si prende un bicchiere (niente tasca portabicchiere, perché antiecologica), la brochure con l'elenco degli espositori e la mappa e si comincia il giro: assaggiare tutto è impossibile, almeno per me. Con il mio accompagnatore abbiamo anche escogitato una tecnica antispreco, per non gettare l'avanzo nell'apposita vaschetta: metà per ciascuno - certo, quando la quantità dell'assaggio è davvero ridotta, il secondo si becca il fondo del bicchiere, che rende qualsiasi vino una schifezza indistinguibile. Così dopo un po' incominciamo usare anche l'altro bicchiere.
Fiera del vino artigianale, quindi niente solfiti in molti casi (alcune aziende presentano solo vini senza solfiti aggiunti); non tutti vendono direttamente, e parecchi di quelli dai quali si poteva acquistare direttamente hanno terminato le scorte la domenica pomeriggio.
Il mio percorso si è personalizzato con gli assaggi dei vini bianchi sloveni e friulani, una passione di lunga data, forse cominciata quasi vent'anni fa con uno dei vini migliori, l'Oslavje di Radikon (Gorizia). Da simili vette non si può che scendere, poi. Un vino che va sul mercato dopo almeno nove anni di affinamento. Di Radikon abbiamo fatto l'assaggio completo: Slatnik, Jakot (tokaj), Ribolla, Oslavje. Poi, per non farci mancare niente, anche il Merlot - veramente super, da far dimenticare tutto il merlot bevuto finora (sempre detto da una che ne capisce poco ma assaggia tanto). Purtroppissimo avevano finito le scorte, ma così le nostre tasche erano salve.
Fra gli sloveni di Brandulin abbiamo assaggiato in successione Malvasia, Jakot, Rebula (l'accento è sulla 'u', mantenuto nell'italiano ribolla), Belo, e poi quelli dei produttori Batic, Movia, Sveti Martin, Čotar, JNK, Kramar. I vini sono sempre più o meno pinot grigio, malvasia, jakot, rebula e uvaggi (per lo più con chardonnay, sauvignon).
Fra gli italiani Podversic, Princic e il citato Radikon.
Un assaggio anche di vino della Mosella, dolcino, assai meno soddisfacente per il mio palato.
Non potevo ignorare il vino macedone (Grecia), così ho fatto un paio di assaggi - uno particolarmente buono) del produttore Ktima Ligas.
Incredibile ma vero, mi sono astenuta dall'assaggiare i miei amati vini francesi (e c'era pure un Sauternes...).
Comunque, dopo una sosta obbligatoria per procacciarsi la cena al banco dei formaggi e a quello del pane più caro del mondo, ripartiamo alla ricerca di una bottiglia di vino rosso per accompagnare la suddetta cena (eh sì, sono un tantino stagionale e quando c'è ancora la neve preferisco bere vino rosso). Qui l'esperienza si fa più ardua: il vino rosso asolfitico-artigianale-biologico ha per il mio personale gusto troppe incertezze e non è tanto facile trovare qualcosa di soddisfacente - e così... via ancora con assaggi! Troppo acidulo il barbera della Cascina Roccalini, passiamo ad assaggiare il roero della Cascina Fornace, due varianti di sangiovese della Cantina Margò (Umbria), il Pignatello di Barraco (Sicilia), il teroldego (forse Beato me, ma ormai non so più quale) di Redondel, veramente buono ma ha finito tutte le bottiglie. Alla fine - si fa tardi - penso che in Emilia Romagna troveremo un vino onesto e gradevole. Torniamo a casa con una bottiglia di Il Maiolo 2006 (barbera, bonarda, cabernet sauvignon, merlot).
Divertente. Magari per la prossima edizione meglio introdurre il bancomat, sia per l'ingresso che per l'acquisto, èh.

livewine.it, Palazzo del ghiaccio, Milano.



venerdì 26 febbraio 2016

Latte fresco?

Sono noiosa, lo so. Magari è tutto a norma di legge (sappiamo anche quanto possa essere fallimentare, ambigua, sbagliata o aberrante tale norma) ma non riesco proprio ad accettare che venga venduto come fresco latte che è perfettamente commestibile così a lungo dopo la data di scadenza. Si conserva dunque nei secoli il latte a lunga conservazione?
Non uso quasi mai il latte, lo compro molto di rado e nemmeno mi ricordo perché avessi acquistato questa bottiglia (presumibilmente qualche giorno prima della data di scadenza indicata); il tentativo fallito di produrre del paneer con del latte che non cagliava nemmeno con aggiunta di plutonio, poi, mi aveva scoraggiato definitivamente.
Ora vi dico solo che questa foto è stata scattata il 18 febbraio 2016, quando ho consumato l'ultimo goccio di questo latte fresco biologico che sapeva ancora di latte fresco, e forse anche di biologico.



lunedì 15 febbraio 2016

Chiarificazione

Non mi era mai stato troppo chiaro quali derivati animali potesse contenere il vino e - lo ammetto - non mi ero mai presa la briga di approfondire, nel timore di scoprire qualcosa che avrebbe dovuto indurmi a rinunciare a berlo. Ci sono - pochi - alimenti dei quali non credo di poter fare a meno e il vino e uno di questi (l'altro è lo yogurt greco - l'ho già detto?).
Da tempo - da quando ci sono stata per la seconda volta (perseverare è diabolico) - mi rode la tentazione di rilasciare una recensione negativa su un locale vegano che si trova nella mia cittadina e mi trattengo ogni volta dallo scriverla perché in fondo mi dispiace: questo genere di locali dovrebbe crescere e prosperare, ma se quello che ho mangiato io è quanto sono in grado di offrire nella media, mammaiut!
Questo locale ha pareti verde acceso e una forte illuminazione al soffitto. Non dico di colorare le pareti di rosso pompeiano ma fior di consulenti potrebbero suggerire un minimo di inclinazione per l'ospitalità e l'accoglienza, tipo evitare colori freddi e luci da mensa aziendale. Vegano = salutista = verde. Anche no, grazie. Il personale: professionalità zero; prontezza e attenzione zero. Improvvisazione, questo sì. Non che sia l'unico: mi è capitato di mangiare in ristoranti stellati e trovarci degli allievi della scuola alberghiera classificabili a prima - e a seconda - vista come non sapiens - goffi oltre l'immaginabile, e impreparati. Giusto che abbiano il tempo di imparare ma 'stagisti' senza speranze magari no, ecco ("braccia rubate all'agricoltura", si diceva una volta).
Be', per tornare al vegano, la signorina molto, molto naïf che avrebbe dovuto occuparsi dei tavoli insieme al giovane non sapiens in sembianza umana vagava con aria smarrita per il locale, senza portare a termine nessuna delle azioni intraprese. Che importa, in un ristorante la cosa importante è il cibo: scelgo un piatto unico con diversi assaggi, tutti - ma proprio tutti - con lo stesso identico non-sapore. Credo sia difficile snaturare così il cibo. Perfino la roba scondita delle diete più crudeli ha una qualche caratteristica che distingue un alimento dall'altro. Forse dovrei precisare che si distinguevano un po' le carote, che sapevano di stantio e di frigorifero. E torniamo al vino, quanto mai necessario per mandare giù la sbobba. Non avvezzi al cliente alcolista, dimenticano di portarlo. Dopo vani tentativi, riusciamo ad attirare l'attenzione della signorina, che si perde due o tre volte per strada e... niente vino. Ci alziamo dal tavolo, alla ricerca di qualcuno che possa o voglia darci retta e ritroviamo al signorina di là, tranquillamente seduta, in pace con se stessa. Chiediamo nuovamente di avere il vino. Arriva il non sapiens con la bottiglia e un cavatappi professionale ma... oops! non lo sa usare. Fa malamente a pezzi la capsula, poi inizia a sbriciolare il tappo prima di defilarsi borbottando qualcosa con aria ebete. Ormai il cibo nei piatti è semifreddo (ma tanto che differenza fa). Torna con la bottiglia aperta (!) e la lascia lì sul tavolo: non si sogna né di scusarsi né di versarlo né tantomeno di portare dei bicchieri in aggiunta a quelli dell'acqua. Vorrei chiedere se hanno dei bicchieri a stelo ma sono troppo avvilita.
Il piatto con gli assaggi insapori, un piatto con un tortino di polenta e un po' di seitan a spezzatino, una bottiglia di vino: 53 euro. Giudizio: mai più.
E così m'è proprio scappata la recensione. Non dirò il nome del locale né dove si trova. Per mia esperienza, si mangia di gran lunga meglio in ristoranti non vegetariani che adattano o propongono piatti vegetariani/vegani. E non da ultimo per l'aspetto del locale e per il servizio.

Ritorniamo finalmente al vino: in commercio si trova del vino vegano passabile, anzi buonino. La maggior parte però, stando ai miei assaggi, non compete con il vino prodotto tradizionalmente. Infine: mi ha confortato scoprire che l'incidenza dei derivati animali in questa produzione concerne la chiarificazione, nella quale si utilizzano i derivati delle uova e del latte e devono sempre essere indicati in etichetta, indipendentemente dalla quantità presente. Serve a stabilizzare il vino e a migliorarne le qualità organolettiche.
La regolamentazione sull’uso dei chiarificanti fa capo al regolamento base UE 822/87 e parliamo di:
- gelatina animale (non da bovini)
- albumina (sostituibile con bianchi di uova montati a neve con un pizzico di cloruro di sodio)
- bentonite
- caseinato di potassio (per vini bianchi), in combinazione con bentonite
- sol silice
- colla di pesce
- gelatine di origine vegetale, sempre più utilizzate dall'emergenza "mucca pazza" in poi.

Albumina di sangue e sangue in polvere sono invece vietati, anche se erano molto usati in passato.

Ho preso le informazioni dal sito dell'enologo Lorenzo Tablino, dove le trovate spiegate in dettaglio.


Vale sempre l'invito a leggere le etichette, che sono disciplinate dal Regolamento europeo entrato in vigore il 13 dicembre 2014 (ne avevo parlato anche io qui).

Lunghetta ma interessante la lettura della Guida alla lettura delle etichette alimentari - etichette di olio e vino, a cura di Gabriella Lo Feudo e CREA - Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria.

Morale: il vino continuerò a berlo, buono possibilmente, e sarò più contenta se conterrà gelatine vegetali.

giovedì 14 gennaio 2016

Mi rendo conto che questo è più un post dal diario del milanese imbruttito che un pensierino di cucina, ma tant'è.
Stanca ma ancora con la voglia di far vivere questo blog, vi presento l'aperitivo di stasera: focaccia di farina di farro integrale al sale grosso e rosmarino (è questa la vera bontà), insalata carote tunisina (con aglio, prezzemolo, cumino, olive, harissa) e Martini cocktail versione veloce.
È già pronta la tajine con cipolla, patata, porro e cavolo cappuccio rosso.
Si fa quel che si può.