lunedì 26 aprile 2021

Shakshuka

Mi trovo mio malgrado in un periodo di inattività lavorativa (non ho perso il lavoro, come moltissimi altri, per fortuna, ma lavoro in un ambito in cui lo sfruttamento, la mancanza di garanzie, la terziarizzazione sono la regola, e ogni euro risparmiato sui collaboratori a vari livelli probabilmente si concretizza in un premio produzione per il dirigente di turno. È uno schifo, lo so da me, ma poiché nessuno controlla, avanti così. 
Tutto ciò per dire che questa vacanza non retribuita mi concede finalmente tempo per leggere: allora alterno la cura dell’orto e del giardino con la lettura, soprattutto di narrativa. Il libro è Il tunnel di Abraham B. Yehoshua, un autore che ho amato moltissimo, di cui ho letto praticamente tutto e su cui non tornavo da tempo – e infatti ho recuperato di seguito La scena perduta (del 2011!) e questo (del 2018), dove ho ritrovato lo scrittore che conoscevo, con il dubbio non confermato (dato che non intendo riprendere i suoi vecchi romanzi, non vorrei mai ricavarne una qualche pur vaga delusione) di una libertà tipicamente senile che emerge qua e là, in alcune osservazioni e nella trama. Ma ben venga: quando il tempo che resta è poco, si economizzano le energie e si liberano guizzi stilistici e una leggerezza acuta e pungente che la maturità ancora non concede (mi viene in mente, nel cinema, l’ultimo De Oliveira, per esempio, o il mio adorato Iosseliani). 




Non divaghiamo. Qui non si parla di letteratura, ma di cucina. E Il tunnel mi ha fatto scoprire un piatto tipico della cucina israeliana – introdotto da ebrei del Maghreb nella cucina israeliana, dice Wikipedia – la shakshuka. Il protagonista, che all’inizio del romanzo scopre di soffrire di demenza senile, acquista troppi pomodori e chiede aiuto alla sorella su come impiegarli. È infatti il protagonista che ha l’incarico di fare la spesa e di cucinare, anche se sa preparare solo pochi piatti, e nel prosieguo della narrazione il contenuto della grande pentola viene più volte rimesso sul fuoco, per diversi ospiti in occasioni successive, e ogni volta si ripete come la shakshuka sia ancora più buona riscaldata. Ideale, per me.




Ho cercato la ricetta in rete, quindi l’ho confrontata con quella di Yotam Ottolenghi (in Plenty, 2010, che, lo ammetto, consulto raramente, pur avendolo da anni, perché ha poche foto: a me piacciono i libri di cucina in cui posso vedere il piatto finito, mi aiuta anche a introdurre varianti e modifiche) e, per questa prima prova, ne ho sperimentato un miscuglio selezionando gli ingredienti presi dal web e dal ricettario. Per le variazioni, vedremo le prossime volte. La mia versione ha semi di cumino tostati, cipolla tritata, niente aglio, due peperoncini, un peperone, una decina di pomodori, curcuma, coriandolo in foglie. E uova, naturalmente.

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